SALDATORI, CALDERAI, INFORMATICI, MONTATORI, CERCANSI

“Lavoro: 359mila assunzioni previste dalle imprese a marzo 2022, ma il conflitto in Ucraina e il rapido incremento dei costi mettono a rischio le prospettive di ripresa.” 

Questo il quadro secondo il Rapporto Excelsior di Unioncamere (marzo 2022) che così continua: “E’ al 41,1% la quota di assunzioni per cui le imprese dichiarano difficoltà di reperimento …che sale al 58,4% per gli operai specializzati, al 56,1% per i dirigenti, al 48,0% per le professioni tecniche e al 44,1% per le professioni intellettuali e scientifiche. Le figure di più difficile reperimento sono Tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (67,2%), Artigiani e operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (67,1%), Fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori carpenteria metallica (65,8%), Tecnici informatici, telematici e delle telecomunicazioni (61,1%), Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili (61,0%).”

Solo questi dati basterebbero per far capire, se ancora ce ne fosse bisogno, l’importanza di investire nella formazione degli istituti tecnici, nella loro valorizzazione, nell’evitare che siano percepiti il refugium peccatorum, una sorta di ripiego per chi non può o non vuole iscriversi al mitico liceo, per poi dover proseguire necessariamente gli studi all’università fino alla laurea inevitabilmente magistrale, dato che la laurea breve in Italia conta pochissimo perché la cultura e i modelli spingono verso il pezzo di carta-traguardo finale, al di là che le persone giovani siano interessate a studiare oppure no. 

Non credo nella soluzione della scuola come fucina per le imprese. Sono convinta che la scuola debba formare le persone giovani per prepararle alla vita sempre più complessa e fornire loro una cultura di base, spirito critico e senso civico, qualsiasi indirizzo di studi esse scelgano, tecnico, scientifico, classico, sperimentale, musicale, ecc.

Se i lavori tecnici fossero socialmente e culturalmente valorizzati anche nel riconoscimento economico, ciò aiuterebbe il processo per cui da una parte chi proviene da una famiglia benestante potrebbe, senza timore di giudizio sociale negativo, avere il piacere e la passione di iscriversi a un Istituto Tecnico,  senza timore di deludere aspettative familiari, e dall’altra chi proviene da una famiglia meno agiata si iscriverebbe, desiderandolo autenticamente, ad un liceo, non solo per fare contenti mamma e papà che vogliono a tutti i costi la prole laureata.

Il rischio è comunque l’assenza di reale motivazione a studiare qualcosa per fare (interessarsi a) qualcosa e ciò avrà conseguenze inevitabili nel mondo del lavoro, dove è difficile orientarsi a ogni età, figuriamoci a 13 o a 18 anni. Sembra di essere tornati agli anni Sessanta o Settanta, pure rispetto alla questione dell’ascensore sociale che però all’epoca funzionava. Ora XXI secolo, l’ascensore sociale si è rotto, e quindi motivazione, impegno, merito, dovere e competenze sono aspetti che vanno curati soprattutto da chi elabora politiche che dovrebbero essere nutrite da visione per lo sviluppo equo e sostenibile del Paese e della comunità. 

Se poi pensiamo alle professioni del mondo digitale, l’arretratezza dell’Italia è spaventosa, il digital divide è tema centrale in ogni agenda ufficiale ma logiche e tempi sono fuori luogo rispetto alle necessità: questo il quadro dal Rapporto annuale 2020 dell’Istat. Le diseguaglianze aumentano

Dovremo premere l’acceleratore, anzi più acceleratori contemporaneamente. Se non lo facciamo, paradossalmente il pericolo è andare a sbattere, e il Paese si farà molto male. 

Qui il Rapporto Excelsior.