Ho avuto il piacere di partecipare il 5 novembre alla presentazione de Il Rapporto Imprenditoria femminile: il valore del capitale umano e finanziario. L’analisi è parte del Piano Nazionale dell’Imprenditoria Femminile, gestito da Invitalia in collaborazione con Unioncamere, per conto del ministero delle Imprese e del Made in Italy e finanziato dai fondi europei del Next Generation EU.
Dopo i saluti istituzionali di Andrea Prete, Presidente Unioncamere, Lorenzo Tagliavanti, Presidente Camera di commercio di Roma, Simona Petrozzi, Presidente Comitato imprenditoria femminile Camera di commercio di Roma, i dati sintetici del Rapporto stati enucleati da Tiziana Pompei, Vice segretaria generale Unioncamere e direttrice generale Si.Camera. Quali elementi sono emersi? Rispetto a Comportamenti e fabbisogni delle imprese femminili: le evidenze dell’indagine, ecco qualche dato.
Il 22% delle imprese è a conduzione femminile, se il tasso dell’occupazione femminile raggiungesse il tasso di occupazione maschile il PIL aumenterebbe del 12%. E andrebbero poi considerati gli effetti molteplici su servizi di cura e il volano della occupazione in questi settori. Le imprese femminili sono: più orientate ai servizi, per lo più piccole imprese, soprattutto ditte individuali, più presenti nel Mezzogiorno, più giovanili, meno dedite all’artigianato. Purtroppo, sopravvivono meno. La motivazione delle donne a fare impresa per il 37% è dettata da interesse e passione verso un progetto, dal desiderio di affermazione personale, e poi dalla necessità di trovare uno sbocco lavorativo. Un dato interessante: la famiglia è il primo alleato dell’impresa femminile. Ciò emerge per l’utilizzo del capitale di fonte personale e/o familiare, e per la maggiore difficoltà ad avere un credito rispetto a figure maschili che ricevono una minore richiesta di forme di garanzia.
Un altro dato che fa riflettere: il 50% delle imprenditrici ha paura di fallire, contro il 44 % degli uomini. E da qui si evidenzia l’importanza della educazione al rischio e al rapporto con il denaro (vedi anche educazione finanziaria). Ancora: le imprese femminili adottano più politiche di conciliazione e inclusive. Ma solo un terzo delle imprese femminili investe nella formazione, e solo il 3% investe nella formazione manageriale. Ulteriore dato: quando ai finanziamenti si affianca la formazione le imprese diventano più produttive.
Tutti questi elementi rinforzano la visione da più prospettive portata da speaker che hanno poi animato il confronto. Ecco solo alcuni degli spunti emersi. La donna come imprenditrice compie un atto di autodeterminazione, e l’università ha la responsabilità di curare sì la formazione tecnico specialistica, ma anche di evidenziare che inclusione è cultura, vedi le prassi adottate da Sapienza stessa in più direzioni (Prof.ssa Polimeni, Rettrice Università “La Sapienza” di Roma); le determinanti del gender pay gap riguardano anche la paura femminile di fallire e l’avversione al rischio, dimensioni che persistono nel tempo, e qui i fattori culturali non aiutano, tant’è che la donna tende a attivare di meno le relazioni con analisti finanziari, mondo dell’imprenditoria e delle banche, quindi la formazione all’imprenditività diventa centrale (Alessandra Micozzi, Professoressa ordinaria di economia applicata Universitas Mercatorum); proprio perché l’impresa femminile nasce ma raramente cresce, va affrontato e risolto il problema della scarsità dei servizi per la conciliazione, quello della drammatica carenza dei servizi anche di cura ( di cui si fanno carico soprattutto le donne) e bisogna lavorare e investire sull’empowerment femminile, perché è ancora molto diffusa la difficoltà ad esprimere il proprio potenziale (Luigi Gallo, Responsabile BU Incentivi e Innovazione Invitalia). Solo spunti dunque? Direi ben di più. Sono indicazioni concrete di piani di lavoro se vogliamo che l’Italia, ora agli ultimi posti nei Paesi OCSE su parecchi di questi parametri, diventi un Paese vivibile e orientato allo sviluppo sano e sostenibile, per le donne e per tutti. E se vogliamo veramente che si inverta la stagione dell’inverno demografico, dato che da decenni si sa che dove è alta l’occupazione femminile, è alto il tasso di natalità, soprattutto se si accompagna ad essa una politica intelligente e lungimirante dedicata ai servizi alla genitorialità e alla cura delle persone. Ce la faremo?
Qui trovi
il Rapporto completo, il Programma della giornata, il comunicato stampa: https://www.unioncamere.gov.it/focus/presentato-il-rapporto-sullimprenditoria-femminile-italia