Ormai sembra che essere donna sia ancora un rischio anche in Italia. Quindi: mai smettere di guardare in faccia la realtà!
In Italia, le cronache, l’ISTAT, i numeri ufficiali del Ministero dell’Interno mostrano che purtroppo la violenza sulle donne è ancora molto diffusa – vedi pag. 16 del dossier.
E si conferma che le violenze avvengono in particolare nell’area della famiglia e dei rapporti di relazione. Fatto questo sempre inquietante, poiché proprio in quelle sfere la sicurezza dovrebbe essere maggiore! In pratica, nella maggior parte dei casi, mariti, compagni, parenti ed ex partner sono gli omicidi autori delle violenze sulle donne.
Va, comunque, considerato un fatto che può sembrare un paradosso: se la violenza contro le donne è sì diffusa ma come dato complessivo sta diminuendo grazie alla maggiore consapevolezza delle donne che ora più di prima riconoscono questa violenza come reato e sono quindi più portate a denunciarlo, dall’altra il rischio del femminicidio aumenta, perché la maggiore consapevolezza delle donne scatena maggiore rabbia in quegli uomini che vedono la donna come proprietà, come (s)oggetto che non è libero di scegliere e di avere una propria volontà e autonomia.
Non si può poi dimenticare che, con i numeri ISTAT nello scenario ci sono le donne silenziose che subiscono senza denunciare, che restano anonime per paura o perché non hanno fiducia sulla possibilità di essere ascoltate, credute, protette.
Secondo il Rapporto Eige (European Institute for gender Equality) presentato a Roma l’8 ottobre 2018, la violenza contro le donne in Italia costa 26 miliardi di euro. Questa spesa è composta dagli effetti della perdita di produzione economica, dal maggior utilizzo di servizi e dai costi personali. E nei Paesi UE il costo arriva a quasi 226 miliardi di euro.
Nel nostro Paese è stata istituita al Senato (ottobre 2018) una commissione d’inchiesta per indagare le cause del femminicidio (termine usato per la prima volta da Diana Russell) e la legislazione attuale su tale fenomeno.
Su questo le associazioni delle donne, e tutti i soggetti protagonisti della lotta contro la violenza sulle donne e al femminicidio, della prevenzione e della gestione dei casi quando già avvenuto – come i centri antiviolenza e le case famiglia – dovrebbero essere ascoltate, così come le loro proposte, data l’esperienza (purtroppo) in materia. Sappiamo che le leggi in Italia su questo fronte ci sono, ma vanno applicate, vanno diffuse l’informazione e la formazione a partire dalla scuola e dal contesto genitoriale. Ciò è fondamentale per diminuire le violenze di tutti i tipi, anche psicologiche, come la diffusione dello stalking anche tra gli adolescenti, e la violenza sul posto di lavoro come il ricatto sessuale, fenomeno diffuso, sommerso e spesso impunito.
Per lottare contro la violenza contro le donne e contro il femminicidio serve la voce delle donne e ma anche quella degli uomini. Uomini che non odiano le donne, uomini che non si riconoscono nei modelli e nei comportamenti di chi continua a vedere la donna come proprietà, con tutti gli annessi e connessi che ne derivano in termini di idee, slogan, linguaggi, atteggiamenti e… di proposte di legge retrive che vogliono negare il rispetto delle donne e del loro diritto a scegliere sul proprio corpo e sulla propria vita.
Per fermare la violenza contro le donne serve anche educare gli uomini e serve sconfiggere l’indifferenza, quella con la quale purtroppo molti e molte ascoltano o leggono la notizia dell’ennesimo femminicidio… Si comincia, dunque, dall’atteggiamento dei genitori, dalla scuola, dai media e non si finisce mai!
Il 25 novembre usiamo l’arancione!


La leadership può essere anche gentile e rimanere efficace, anzi produrre anche efficienza coniugando autorità ed empatia? Alcuni leader italiani e internazionali protagonisti dell’attuale scena politica teorizzano e praticano la logica del duro e puro, insomma una versione machista di uso del potere e della rappresentazione del proprio agire che trova elettori e adepti consenzienti quando non deliranti: va certo riconosciuto che quest’approccio dà i suoi frutti in certe situazioni sociali per chi ha volontà di consenso facile e d’effetto sul breve periodo, diffonde paura, atteggiandosi a punto di riferimento sicuro e impavido, che non ascolta, non cerca consigli, anzi se li riceve li azzera.
La gentilezza dei leader aiuta il legame positivo con le persone e la gestione delle relazioni.
La leadership gentile è il contrario della manipolazione o della recita, è autenticità di rapporto con gli altri, collaboratori, ai vertici o di pari livello, è la capacità d’impegno in rapporti reciproci significativi, è creazione di fiducia vicendevole, è provare ed esprimere gratitudine, è il valore dell’umiltà con cui il leader dimostra che sa imparare e che non si monta la testa, rimanendo con i piedi per terra; quindi è capacità di realismo, senza dichiarazioni di autoglorificazione egocentrica, è responsabilità unita alla competenza (parola rara di questi tempi in Italia, dove spesso suscita diffidenza o sospetto anziché fiducia, affidabilità e riconoscimento). 
Leonora sceglie il convento per amore ma trova la morte per mano del fratello come vendetta per difendere l’onore della famiglia e quindi di se stesso. Sono passati secoli da quella notte a Siviglia, in cui si svolge la vicenda, ma quante donne ancora muoiono, guardando anche solo l’Italia, per questo motivo?
Ma come batte in tal senso il cuore delle donne nella vita privata e sul lavoro? Il possedere empatia, flessibilità e socialità e capacità di apprendimento e di superamento rispetto alle avversità, sono una combinazione di caratteristiche che, secondo molte ricerche internazionali, consentono alle donne di esprimere un approccio unico verso che fare con la delusione, il rifiuto o situazioni che non funzionano. Tendono all’auto-critica, ma poi si scrollano di dosso ogni sentimento negativo, imparano ciò che è necessario e si danno da fare! Certo ci sono eccezioni, ognuna è chi è e sa essere/fare, ma tendenzialmente dalle ricerche socio-psicologiche e manageriali questo è il dato che emerge.
Il fatto è che l’ambiente di lavoro può essere strutturato fisicamente in molti modi e in ogni caso incide sul fattore psicologico di chi ci lavora e sulle dinamiche interpersonali tra colleghi e con i capi. Spesso oggi anche in fabbrica sono superati gli ambienti di officina rappresentati dal genio di C. Chaplin in Tempi Moderni (1936,
Se hai difficoltà di relazione professionale con alcuni di loro o con i capi e vuoi una mano, posso esserti utile attraverso un percorso di counseling mirato ad affrontare meglio e risolvere positivamente le questioni di clima di lavoro che ti stressano e ti fanno passare la voglia di andare in ufficio.
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